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La riforma fondiaria – l’abbandono

Segnaliamo il documento di Rai Storia di Lugi Comencini che racconta l’abbandono dei luoghi della riforma fondiaria agli inizi degli anni 70. Le abitazioni e i terreni in cui vivevano le famiglie degli agricoltori erano isolate, senza servizi e non consentivano alle stesse di avere un reddito sufficiente per il loro sostentamento così come gli intervistati chiaramente testimoniarono a chi gli andò a trovarli nei luoghi della riforma fondiaria.

Le leggi della riforma fondiaria permisero l’insediamento di circa 300.000 unità lavorative e, dopo 25 anni, come rileva l’indagine Insor, ne restavano circa 231.000 a fronte di una significativa riduzione dei poderi (circa il 22% in meno) e di una accresciuta dimensione media aziendale passata a 13,40 ettari nelle aree di riforma , ben più alta di quella media nazionale pari a 8,40 ettari.

Un aspetto positivo dell’azione della riforma fondiaria risultò essere il fatto che nelle aree di riforma, nonostante tutto si registrò un processo di crescita e sviluppo agricolo, della produttività e delle dimensioni medie delle aziende agricole e di minore invecchiamento della stessa popolazione attiva agricola.

Contestualmente si rilevarono aspetti di criticità quali:

  • il fatto che il modello insediativo sparso che portò all’insediamento di 26.286 famiglie non creò una vera possibilità di insediamento duraturo nel tempo. Infatti una rilevazione svolta nel 1975, evidenziò che delle abitazioni edificate, ben 20.512 risultavano abbandonate, e molte di esse non furono mai abitate. Il fenomeno era particolarmente pronunciato nelle regioni del Sud.
  • La frammentazione della proprietà fondiaria e le piccole dimensioni delle proprietà assegnate non portarono ad un insediamento e alla nascita di aziende agricole ma nella migliore delle ipotesi alla formazione di redditi complementari: i braccianti restarono tali o emigrarono e così fu pure per gli artigiani.

Gli investimenti diretti a creare unità abitative sono stati vanificati già nel 1975 circa 100.000 vani corrispondenti alle 20.500 case risultavano abbandonati. Fu un vero e proprio spreco abitativo conseguenza dell’insediamento sparso o in piccoli nuclei lontani dai borghi e paesi dove vivevano gli assegnatari. Anche per tale dato naturalmente ci troviamo di fronte a rilevanti differenze geografiche. Nei comprensori di riforma del centro nord, anche grazie ad un diffuso appoderamento già esistente nelle zone di riforma si registrò un tasso di abbandono del 2% in Veneto, 3% in Emilia Romagna, 10% in Toscana, 9% nel Lazio, 7% in Campania, 22% in Sardegna. Le situazioni più gravi si verificarono nel Sud con tassi di abbandono del 92% in Sicilia, 44% in Calabria, 52% in Basilicata, 71% in Puglia e 41% in Molise.

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